ALTARE DI SAN GIUSEPPE E SANT’ELIGIO
Titolo : Gesù Bambino, San Giuseppe e Sant’Eligio
Autore : Guido Cagnacci
Datazione : 1635
Dimensioni : 241,70 X 156
Tecnica : olio su tela
Il quadro venne commissionato al pittore santarcangiolese Guido Cagnacci nell’agosto del 1634 dalla Confraternita dei falegnami e dei fabbri, di cui San Giuseppe e Sant’Eligio sono protettori. L’opera era originariamente destinata all’altare della cappella della Confraternita, nella chiesa di Santa Croce e fu poi trasferita nella chiesa collegiata.
L’opera si colloca tra i più significativi esempi della produzione artistica della provincia romagnola tra il terzo e il quarto decennio dei Seicento, anni della grande stagione del naturalismo a Rimini, che ha tra i suoi esponenti maggiori Guido Cagnacci e il Centino.
San Giuseppe è assistito nel suo lavoro dal figlio. Gesù è intento a fissare un chiodo a due asticelle di legno disposte a formare una croce, preludio della sua morte. Giuseppe lo osserva con preoccupazione, ma lascia che si cimenti nell’impresa, anche se consapevole del rischio e del presagio di dolore futuro. Ai loro piedi si trovano gli attrezzi del falegname e l’incudine, sulla quale è possibile leggere la firma di Cagnacci e la data di realizzazione dell’opera. Sant’Eligio non appare coinvolto dalla presenza di Gesù Bambino, ma rivolge il suo sguardo colmo di patetismo verso la colomba dello Spirito Santo che discende dal cielo in uno squarcio luminoso.
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GUIDO CAGNACCI
Originale pittore italiano, nasce a Santarcangelo di Romagna nel 1601. Studia a Bologna presso il nobile Girolamo Leoni e successivamente si reca a Roma, la cui presenza è documentata tra il 1621 e il 1622, dove soggiornerà per almeno due volte, in compagnia del Guercino.
La sua formazione è profondamente ispirata dal classicismo dei Carracci
Dagli anni venti e trenta del Seicento risiede a Rimini e lavora per le chiese della città e del circondario. E’ molto apprezzato per l’indiscusso fascino delle sue opere anche da committenti privati. In un tempo in cui l’arte è fortemente ispirata alla sacralità religiosa, Guido Cagnacci riesce a sfuggire, a suo modo, alle regole, interpretando il fascino della bellezza secondo l’ispirazione, il sentimento e attraverso il filtro idealizzante di perfezione classica di Annibale Carracci, nelle sue commissioni romane e nel classicismo bolognese.
A Bologna, nel 1640, incontra l’ormai anziano pittore Guido Reni (1575-1642) e i suoi allievi e continua in quegli anni ad ottenere importanti committenze. Dopo la morte del Reni, è a Forlì per la realizzazione di due grandi quadri per la decorazione della cappella di santa Maria del Fuoco, La Gloria dei santi Mercuriale e Valeriano, nel Duomo di Forlì. Sempre per la Cattedrale riceve il compito di affrescare la cupola, lavoro che però non verrà mai portato a termine.
Dopo una breve presenza a Cesenatico, e il periodo dell’esperienza Veneziana, nel 1660 il pittore è chiamato a Vienna per la corte di Leopoldo I di Asburgo, dove morirà nel 1663.
Bibliografia:
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– Stoppioni M. L., Storia di Santarcangelo di Romagna, Cesena, Il Ponte Vecchio, 1999
– Giorgi R. Santi, Milano, Electa, 2002
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– Benati D. Paolucci A. (a cura di), Guido Cagnacci: protagonista del Seicento tra Caravaggio e Reni, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2008